Davide Palluda, lo chef pluristellato dell’Enoteca di Canale (Cuneo), alla soglia dei 50 anni è pieno di obiettivi da raggiungere
Gentleman. Sono passati 20 anni dalla prima stella e lei è ancora un giovane cuoco. Se dovesse descrivere questi anni con tre aggettivi, quali sceglierebbe?
Davide Palluda. Giovane non proprio, diciamo che a 50 anni sono ancora appassionato e pieno di obiettivi da raggiungere. Venti anni fa ero audace, o forse più che altro folle. Dieci anni fa appisolato, oggi sono rinato.
G. Lei è un punto di riferimento per la cucina piemontese e non solo. In che modo abbraccia la tradizione riuscendo a innovarla?
D. P. Proprio per il rispetto che nutro per la parola tradizione, questo è un termine che utilizzo pochissimo, ogni tanto indosso le ali per sollevarmi da terra e vedere dall’alto il mio territorio con calma e scopro sempre nuovi stimoli e dettagli. Cerco di migliorarmi nei particolari e soprattutto guardo al passato e al classico con rispetto ma senza nostalgia.

G. Anni fa ha aperto il laboratorio Dp. Cosa è e che finalità ha?
D. P. Il laboratorio nasce per il piacere di portare una stagione dentro l’altra. L’arte di conservare, della credenza, è nel nostro Dna, essendo il Roero terra di frutteti e orti da sempre. Così mi è venuta la voglia di replicare su larga scala alcune mie ricette e naturalmente ampliare il mio business.
G. La sua è una storia umana profondamente legata al territorio. Che cosa le dà la sua terra in termini di sapori ed emozioni?
D. P. Chi fa ristorazione in provincia capisce da subito che, per costruire un’esperienza significativa, deve impastare la personalità, la professionalità e la creatività con il territorio che lo circonda. Solo così riuscirà a creare una situazione unica e diversa. Amo il rispetto che questi luoghi e questa comunità hanno per la materia prima, amo il fatto che ci sia sempre la voglia di elevare la cucina popolare e di mettere al riparo dall’erosione culturale certi usi, sapori e profumi. Adoro i profumi del bosco così netti e naturali, naturalmente il tartufo bianco, così effimero che deve profumare per farsi trovare, altrimenti non ci accorgeremmo di lui.