Per il nome del brand si sono ispirati al grattacielo con le bretelle, simbolo di Milano. Ecco chi sono i Velasca: Enrico Casati e Jacopo Sebastio

Prima o poi ci cascano tutti. Davanti a un quadro, un haiku, un indovinello. Chi non ha mai pensato: è talmente semplice che avrei potuto farlo io? È la sensazione che in tanti provano ascoltando la storia di Velasca, il brand fondato nel 2013 dai milanesi Enrico Casati e Jacopo Sebastio, diventato famoso prima per le scarpe artigianali e, da sei mesi, anche per l’abbigliamento classico contemporaneo.

L’avventura dei Velasca (è così che sono ormai conosciuti Enrico e Jacopo), è nata dieci anni fa da una semplicissima constatazione: all’epoca sul mercato mancava un brand che avesse uno spirito artigianale contemporaneo, fosse Made in Italy e che, soprattutto, avesse un prezzo contenuto.
«Un brand vince quando il suo stile si riconosce senza loghi in evidenza»
«Io lavoravo in banca e Jacopo era un consulente finanziario», racconta Enrico Casati. «Sembra assurdo ma all’epoca non riuscivamo veramente a trovare dei bei mocassini artigianali italiani a un prezzo ragionevole», Enrico Casati, «Così, con un po’ di follia e tanta determinazione, abbiamo pensato noi a creare un brand con queste caratteristiche».
Gentleman. E lo avete chiamato Velasca…
Enrico Casati e Jacopo Sebastio. Abbiamo preso il nome dal simbolo più amato e odiato di Milano. E che è insieme rivoluzionario, innovativo ed elegante. Poi è conosciuto come il grattacielo con le bretelle per via delle travi a vista. Era perfetto per noi.

G. Seguendo le vostre passioni avete avuto un grande successo. Un po’ il sogno di tutti…
E.C. e J.S. Diciamo che l’abbiamo imbroccata giusta e abbiamo avuto fortuna: abbiamo trovato terreno fertile dopo la crisi del 2013-14. Ma, soprattutto, avevamo avuto la giusta intuizione, inserendoci con largo anticipo in un trend che oggi è più attuale che mai: portare gli artigiani nel futuro, puntando sulla vendita diretta.
G. Come scegliete gli artigiani che realizzano i vostri prototipi?
E.C. e J.S. In prima persona. Siamo fissati con il Made in Italy, come lo è il resto del mondo, ma non tutto il made in Italy è sinonimo dell’alta qualità e dei materiali che noi cerchiamo. Selezioniamo chi mantiene lo standard alto e lavoriamo solamente con chi condivide i nostri stessi valori e la nostra etica.
G. Quanto del vostro successo è merito della digitalizzazione?
E.C. e J.S. Nel primo anno e mezzo tutto. Avevamo solamente il sito di e-commerce. Ma poi siamo cresciuti, captato che la community che avevamo creato online chiedeva sempre di più la fisicità, e capito che l’omnicanalità sarebbe stata il futuro. Così abbiamo aperto la nostra prima bottega nel 2015 (i negozi Velasca si chiamano botteghe e quando si entra si ha la sensazione di trovarsi nel salotto di un caro amico, ndr). Oggi siamo arrivati a 18 punti vendita: 15 in Italia e gli altri a Parigi, Londra e New York, con un volume d’affari di 45% offline e 55% online e 80 dipendenti.

G. Traducete queste percentuali in fatturato.
E.C. e J.S. 12,7 milioni di euro l’anno scorso; 20 milioni la previsione per quest’anno. Ma l’ambizione è entrare presto nella Champions League delle aziende arrivando (con nuovi partner finanziari) a fatturare 200 milioni.
G. Descrivete lo stile Velasca e chi lo compra.
E.C. e J.S. Un total look classico formale o sportivo sofisticato. Ci comprano professionisti uomini e donne dai 30 ai 50 anni. La nostra community ci tiene al bel vestire, sceglie abitualmente brand di lusso ma non è fanatica dei loghi in vista, ama lo stile, la qualità, ci tiene a indossare 100% made in Italy.