Cellar in the Sea, il tesoro sommerso di Veuve Clicquot

di Giuliana Di Paola

Cellar in the Sea, la cantina nel mare di Veuve Clicquot, una storia avvincente che inizia con un naufragio racconta il ceo Jean-Marc Gallot

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C’è un tesoro in fondo nel Mar Baltico al largo delle Isole Åland e Veuve Clicquot invita a scoprirlo con Cellar in the Sea. La cantina nel mare nata da una vicenda avvincente quanto un romanzo d’avventura e inizia con una tempesta.

Nel 1840, proprio all’ingresso del Golfo di Botnia, una nave viene colta dalla mareggiata nel bel mezzo delle migliaia di isolotti che dividono la Svezia dalla Finlandia e affonda con tutto il suo carico.

Esattamente 170 anni dopo, nel luglio 2010, una spedizione subacquea individua il relitto e trova il tesoro: oltre un centinaio di bottiglie di vino, tra cui alcune champenoise. La notizia spumeggiante si sparge fino a Reims. «Immagini la curiosità», racconta Jean-Marc Gallot, presidente e ceo di Veuve Clicquot, che esordisce con «la storia la si sa», ma poi non resiste, come si fa con una storia così, e la ripercorre insieme a Gentleman in una mattinata che più solare non si poteva.

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Jean-Marc Gallot, presidente e ceo di Veuve Clicquot dal 2014.

Gentleman. Quella di Cellar in the Sea sembra una storia da romanzo.

Jean-Marc Gallot. Lo è davvero è una storia di cacciatori di tesori, un’avventura. Sono stato alle Isole Åland, sei anni fa, per la prima degustazione comparata e abbiamo conosciuto i subacquei che hanno fatto questo ritrovamento straordinario: un carico di champagne affondato un secolo e mezzo fa.

G. E invecchiato in modo strepitoso, grazie alle caratteristiche del fondale, la mancanza di luce, la temperatura e pressione costante, davvero un tesoro sommerso.

J-MG. Davvero. Fin da subito Veuve Clicquot ha messo a disposizione tutte le risorse della Maison: gli esperti e la tecnologia più all’avanguardia per le operazioni di recupero a partire dalla messa in sicurezza dei tappi. Un enologo è stato mandato a sostituire subito i tappi perché non saltassero per il cambio di pressione, arrivati in superficie. Quando hanno visto la piccola ancòra sul tappo che ha permesso di identificarle come bottiglie di Veuve Clicquot, sono impazziti tutti. Gli esperti della storia della Maison si sono scatenati, non le dico, Isabelle Pierre, la custode dei nostri archivi, li abbiamo sistemati di recente e sono un chilometro di documenti.

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Silverskaar una delle migliaia delle Isole Åland, nel Golfo di Botnia tra Svezia e Finlandia.

G. Madame Clicquot avrebbe amato quest’avventura?

J-MG. Di sicuro, perché lei amava tutto quello che rappresentava una novità. Era una donna straordinaria, la si può considerare la prima imprenditrice, quando all’epoca alle donne non era consentito neanche lavorare, era concesso solo alle vedove e solo per prendersi cura degli affari di famiglia. È stata determinata e audace, in tutto quello che ha fatto, rivoluzionando il mondo dello Champagne. A lei si devono creazioni come il primo Millesimato, il primo Champagne rosé per assemblaggio della storia e la table de remuage, non c’è dubbio che avrebbe amato quest’esperimento.

G. Ecco, venendo all’esperimento, oltre a mettere in sicurezza le bottiglie ritrovate, avete costruito una cantina subacquea per studiarne gli effetti sull’invecchiamento e compararli alle bottiglie conservate nelle Crayères, le cantine della Maison che si snodano per chilometri sotto la città di Reims.

J-MG. Sì Cellar in the Sea è un esperimento su larga scala. Abbiamo fatto una selezione di champagne Yellow Label, non millesimati in versione normale e magnum, di Vintage Rosé 2004 e di Champagne Demi-sec. Per studiare l’impatto di queste condizioni di conservazione uniche su fattori diversi, come il volume delle bottiglie, le percentuali di vino rosso e l’influenza dello zucchero sull’invecchiamento.

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Un sommozzatore al lavoro per recuperare le bottiglie di champagne del progetto Cellar in the Sea.

G. Al primo assaggio che differenze avete riscontrato?

J-MG. La prima volta, sei anni fa, onestamente le differenze tra i due lotti non erano enormi. A differenza di quello che pensavamo, sembrava quasi che invecchiassero più velocemente le bottiglie in cantina che in mare: la temperatura, di 3 gradi in meno, e la pressione maggiore pare rallentare il processo. Ma si parlava di sensazioni quasi impercettibili, per Yellow Label e Rosé. Diverso il caso del Demi-sec: era l’unico assaggio che marcava una minima differenza.

G. Per la maggior percentuale di zuccheri?

J-MG. Esatto, è davvero molto interessante perché le bottiglie ritrovate risalgono a quando Madame Clicquot conduceva l’azienda e questa è la parte più emozionante di quest’avventura, Non lo faceva certo lei di persona, ma sovrintendeva a tutti i passaggi. All’epoca il dosaggio era di circa 180-200 grammi di zucchero, ossia molto, molto dolce rispetto al gusto di oggi. Per darne un’idea di quanto siano cambiati a distanza di due secoli, il Demi-sec oggi è percepito come dolce ma arriva appena a 45 g.

G. Sarà davvero interessante vedere gli studi che stanno conducendo le università di Bordeaux e Reims sull’esperimento, avete già dei risultati da condividere?

J-MG. Non ancora, sono studi che prevedono tempi lunghi. Quel che invece si è visto subito è la qualità eccezionale del vino ritrovato. Ed è davvero emozionante pensare che lo Champagne che beviamo oggi, soprattutto vale per le cuvée speciali come La Grande Dame, è composto da uve che provengono dalle stesse particelle di terreno che Madame Clicquot stessa aveva comprato e piantato agli inizi dell’Ottocento. Così, come sempre nella vita, si può dire che la qualità non mente mai. Sul lungo termine ripaga sempre. Ecco perché il nostro motto è ancora quello che ha forgiato Madame Clicquot: «Una sola qualità, la migliore».

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G. Si tratta di un progetto a lungo termine.

J-MG. Sì, sa che abbiamo ormai oltre 200 bottiglie in questa cella in fondo al mare e così ogni quattro anni (l’altra volta c’era di mezzo il Covid e l’intervallo è stato più lungo). Ogni volta prenderemo una decina o dozzina di questo tesoro e procederemo all’assaggio comparato di queste e quelle identiche conservate nella cave di Reims. Un test davvero particolare ed eccitante.

G. Il primo assaggio è stato un esperimento, ora Cellar in the Sea è un’Experience eccezionale, è l’ultima frontiera del lusso?

J-MG. A noi piace essere unici, soprattutto nel mondo dello Champagne. Ho lavorato in altri settori del lusso, sempre all’interno di Lvmh, come Louis Vuitton e Fendi; e posso dire che il lusso delle esperienze, quello che i soldi non possono comprare, è quello i nostri clienti cercano. L’anno scorso abbiamo organizzato il viaggio da Reims a Venezia in treno sull’Orient Express, un’idea pazza per festeggiare i 250 anni della Maison e sa perché? Perché nel 1772, appena il brand era stato fondato, le primissime bottiglie vendute fuori dalla Francia erano state spedite a Venezia, in Italia. Da qui l’idea per celebrare la ricorrenza. Ecco quello che cercavo di dire è che non inventiamo o creiamo storie, ma cerchiamo nel passato le chiavi per reinterpretarlo il passato e proiettarci nel futuro. Lo stesso vale per Cellar in the Sea, sappiamo perché tenerlo per noi e non condividerlo.

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Uno dei momenti conviviali della Cellar in the Sea experience sull’Isola di Silverskaar.

G. Una condivisione molto selettiva…

J-MG. Sì, è un’esperienza costosa, ma è molto articolata, una vera e propria avventura che inizia a Reims, per spostarsi nel Mar Baltico e fino ad arrivare su quest’isolotto minuscolo. L’experience Cellar in the Sea quest’anno era un long weekend di quattro giorni che coincideva con la Festa di Midsommer al solstizio d’estate. Si partiva dalle vigne di Verzy con una cena di gala in Maison per continuare con un viaggio in goletta fino all’Isola di Silverskår, per la degustazione guidata dallo Chef de Caves di Veuve Clicquot, Didier Mariotti, delle bottiglie invecchiate nelle Crayères, le cantine della Maison dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, e di quelle nel caveau di Åland.

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Le Crayères, le cantine di Veuve Clicquot a Reims, dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.

G. Visto il successo, pensate di replicare l’esperimento in un altro luogo?

J-MG. Amo la sua domanda, perché gli uomini amano i modelli replicabili, i parametri fissi che si ripetono danno sicurezza, ma in Veuve Clicquot facciamo l’esatto opposto, non replichiamo le cose. Amiamo l’unicità. Abbiamo trovato le bottiglie al largo delle Isole Åland e l’esperimento si farà solo qui. Ma visto il numero delle bottiglie, di experience possiamo organizzarne ancora.

G. Dieci anni fa aveva detto di voler riportare al futuro Veuve Clicquot, ora è passato un decennio, come vede il futuro della Maison?

J-MG. Dal futuro mi aspetto di lavorare seriamente, senza prenderci troppo sul serio. È quello che amiamo fare. Ecco perché per noi La Grande Dame è così importante: è un messaggio di ottimismo. Spesso le Cuvée speciali sono serie, inibiscono. Noi vogliamo che quando si stappa una bottiglia, si diffondano emozioni positive e la voglia di condividere, questo è quello che definiamo solaire attitude.

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L’experience Cellar in the Sea inizia a Reims con una cena di gala in Maison.

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