L’AI prêt-à-porter

di Stefano Cavallaro

L’intelligenza artificiale generativa prende vita in AI Pin, una spilla da indossare. Un settore dove i big dell’hi-tech investono sempre più

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Si comanda con la voce, non ha display né app e si indossa come una spilla. AI Pin della californiana Humane, startup fondata dagli ingegneri ex Apple Bethany Bongiorno e Imran Chaudhri, consente di avere sempre con noi un assistente personale animato dall’intelligenza artificiale generativa GPT-4 di OpenAI.

Attivabile con un rapido tocco sulla sua superficie touch, AI Pin riconosce ciò che è intorno grazie all’obiettivo integrato, che permette anche foto e video. Risponde a qualsiasi domanda, telefona, traduce all’istante una conversazione fra persone di lingua diversa e proietta informazioni sul palmo della nostra mano con il suo mini proiettore laser.

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Riproduce anche musica in streaming, riassume email, invia messaggi, ci ricorda appuntamenti, consente acquisti online. E molto altro. Al momento in preordine sul sito del produttore a 699 dollari, cui si dovrà aggiungere un canone mensile di 24 dollari per i servizi di AI e i dati mobili, sarà in vendita dalle prossime settimane. E ha già suscitato l’entusiasmo di una folta schiera di early adopter che non vedono l’ora di appuntarla al petto. Sarà capace di soddisfare le aspettative?

Per Carolina Milanesi, presidente di Creative Strategies, istituto di analisi specializzato nel settore hi-tech, non è scontato: «Difficile a dirsi senza averla provata. Certo, interagire con AI Pin via voce in ambienti outdoor, con suoni e rumori di fondo, può essere più complesso del previsto. E resta da capire come Humane possa ottenere informazioni sui suoi utenti perché, a differenza di aziende come Apple, Google o Microsoft, non dispone di un ecosistema di servizi che raccoglie dati».

gentleman tecnologia AI Pin spilla intelligenza artificiale humane-press-chargecase-front-backEppure c’è già chi considera AI Pin una smartphone killer…

«Personalmente – prosegue Milanesi – io non credo che qualcuno possa lasciare a casa il suo smartphone per AI Pin. La vedo invece più come un’evoluzione degli smart glasses, anche se con un approccio diverso. Di sicuro, non sarà per tutti. A parte il costo, infatti, non è un dispositivo inclusivo: richiede l’uso della voce e di gesti per interagire e anche leggere ciò che viene proiettato sul palmo della mano può non essere semplice. Infine, Humane non è un brand conosciuto: occorre fidarsi per consentire a qualcuno di raccogliere i nostri dati personali».

Che il dispositivo di Humane raggiunga o meno il successo (il progetto è costato 240 milioni di dollari), resta massima l’attenzione sull’AI e anche sul suo uso in mobilità. Tutti i big dell’hi-tech vi stanno investendo cifre enormi e stanno annunciando, o presto lo faranno, le loro soluzioni. Secondo Statista, questo mercato vale oggi circa 100 miliardi di dollari e crescerà fino a sfiorare i duemila nel 2030.

Eppure l’intelligenza artificiale non è una novità dell’ultima ora. Perché, dunque, è oggi così alla ribalta?

«L’AI è nata circa 70 anni fa», spiega Daniele Caligiore, primo ricercatore all’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR e direttore e cofondatore della Advanced School in Artificial Intelligence. «Oggi riesce a mostrare le proprie potenzialità grazie a più fattori: la potenza di calcolo di computer e smartphone è molto elevata, le tecnologie digitali e la ricerca nel settore hanno compiuto grandi passi avanti e c’è una vasta mole disponibile di dati digitali, l’alimento principe di cui si nutrono le AI. La commistione e l’ibridazione di questi elementi hanno portato allo scenario odierno».

Ma sono davvero intelligenti?

«Dietro alle risposte di AI generative come ChatGPT non vi sono intelligenze assimilabili a quella umana anche se, a differenza di altre tecnologie che usiamo abitualmente, possono assumere un atteggiamento “mimetico”, simulando dunque un comportamento umano. Certamente, però, non sono da umanizzare: i loro algoritmi sono “solo” in grado di fare collegamenti fra parole su base statistica, per creare correlazioni e quindi fornire risposte. Non c’è pensiero, intuizione o fantasia».

Serve dunque un approccio più corretto, più ragionato da parte degli utenti.

«Fondamentale è la formazione, anche dei più giovani, affinché se ne conosca il funzionamento e si possa trarre il meglio da queste tecnologie, supportati da un pensiero critico: non vanno prese automaticamente per buone tutte le informazioni e le risposte che ci danno, perché non sempre è così. Restano comunque», conclude Caligiore, «strumenti molto utili e positivi, pensiamo ad esempio a quanto si potrà fare con il loro ausilio in medicina e in tanti altri campi, ma vanno utilizzati con consapevolezza, consci dei loro limiti e anche dei nostri».

gentleman editoraile aprile 24

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