Il paesaggista Antonio Perazzi si racconta

di Giuliana Di Paola

La natura è sempre stata la sua passione, ma il primo ricordo in giardino del paesaggista Antonio Perazzi «sa di fumo, di giungla e dei racconti della zia Oriana (Fallaci, ndr)», ha raccontato a Gentleman

Il paesaggista Antonio PerazziLa natura è sempre stata la sua passione, ma il primo ricordo in giardino del paesaggista Antonio Perazzi «sa di fumo, di giungla e dei racconti della zia Oriana (Fallaci, ndr)», ha raccontato a Gentleman in occasione della mostra-laboratorio Botanica Temporanea, l’arte dei Giardini Invisibili, aperta fino al 19 settembre negli spazi rigenerati di Manifattura Tabacchi a Firenze. «Ero a casa dei nonni in Toscana e, per un litigio con mia madre, mi ero nascosto su un grande corbezzolo. Ho passato un giorno intero tra le fronde ombrose di quell’albero, mentre tutti mi cercavano, avrò avuto 5-6 anni. Alla sera, sono sceso e sono andato sotto la vecchia panchina, d’improvviso la zia si è seduta, si è accesa una sigaretta e, come se niente fosse, ha iniziato a raccontare di un bosco in Vietnam dov’era andata a cercare un soldato americano rapito dai vietcong. Così sono uscito dal mio nascondiglio, mi sono seduto sulle sue ginocchia e lei mi ha abbracciato».

Da allora il verde e i racconti sono diventati la sua vita, come preferisce dire perché è molto più di un lavoro: ogni pro- getto è come un figlio e vi partecipa tutta la famiglia. «La mia compagna è socia in studio», spiega, «e i bambini finiscono per conoscere e vivere ogni progetto e ogni giardino». Soprattutto quello di Piuca, dove hanno deciso loro di trasferirsi in pianta stabile, dopo il primo lockdown.

Il paesaggista Antonio Perazzi1. Kew Gardens. A Londra non torno più spesso, ma tutte le volte che vado non posso fare a meno di visitarli. Quando studiavo lì, avevo libero accesso al giardino a qualsiasi orario. Un sogno. E quando ci torno ritrovo le piante che conosco, alberi, cespugli, e mi emoziono come vedessi vecchi amici. Se sento profumo di filadelfo o Escallonia illinita, ovunque mi trovi, il mio pensiero va a Kew.

2. India. Amo l’Italia, ma mi sento a casa anche in altri luoghi dove ho vissuto: New York, il Giappone e l’India cui sono molto legato, ci vado da quando sono bambino e non smette di sedurmi. Sono felice che sia lo stesso per i miei figli. A Jaipur, Munnar o Hampi si muovono con la disinvotura che avrei io in Liguria.

Il paesaggista Antonio Perazzi3. Etna. Ho una passione particolare per la Sicilia etnea, dove ci sono condizioni pedoclimatiche uniche per l’Europa. Nei giardini che ho fatto qui sono riuscito a coltivare piante impossibili altrove come mango, litchi, Alocasia, Quisqualis e gelsomini tropicali. È il paradiso del giardiniere.


4. Villa Amagioia. Indipendentemente dalla scala, per me ogni nuovo progetto è una sfida totalizzante che crea forti legami con il luogo. Se proprio devo sceglierne uno, penso al giardino di Villa Amagioia a Varignana, poco fuori Bologna. Nel farlo si è creata un’atmosfera gioiosa che poi si è stabilita tra le stanze del giardino, nelle radici e tra le fronde del- le querce. Ma il risultato più bello è stata l’amicizia che è nata con il proprietario: siamo ancora molto amici.

Il paesaggista Antonio Perazzi
Gilles Clement

5. I miei mentori. Decisi di fare il paesaggista per un incontro organizzato da mia madre col severo Pietro Porcinai. Di maestri ne ho avuti tanti, ma non per caso: me li sono andati a cercare. Come Gilles Clement, una figura di riferimento fin dalla prima volta che l’incontrai ai miei esordi, e Ippolito Pizzetti che ho frequentato con spensieratezza e sincera ammirazione.

6. Alighiero Boetti. A casa mia a Milano si frequentavano molti artisti. E la mia famiglia è originaria di Firenze, dove tutto è arte e artigianato. In generale sono affascinato dall’arte quando, senza malizie, riesce a raccontare una storia, come le opere di Boetti o come il giardino di Derek Jarman Prospect Cottage, a Dungheness.

7. Piuca. È il mio luogo dell’anima, la campagna del Chianti della mia infanzia e da un anno è di- ventata casa nostra per scelta dei miei figli che, dopo il lockdown, non hanno più voluto andarsene. Prima c’era un terreno incolto e la casa era un rudere diroccato. Adesso ho rimesso a posto vigna e oliveto, c’è un grande giardino, l’orto, un frutteto e il bosco dove i bambini, usciti da scuola, vanno a passeggiare e cercare funghi.

gentleman editoraile aprile 24

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