L’ospitalità secondo Simonetta Agnello Hornby

di Giuliana Di Paola

A casa o al club, Simonetta Agnello Hornby prende l’ospitalità seriamente come tutti i siciliani. Una tradizione che risale ai tempi di Omero

simonetta agnello hornby
Il Reform club di Londra, di cui Simonetta Agnello Hornby è socia da quando ha aperto alle signore.

«La differenza con l’Inghilterra è immensa, ovviamente, ma anche con l’Italia: il siciliano ha il culto dell’ospitalità ed è così dai tempi di Omero e Nausicaa», si parla di arte del ricevere e come sempre Simonetta Agnello Hornby va dritta al punto.

La signora della letteratura italiana, in realtà dal 1972 vive a Londra, dove esercita la professione di avvocato specializzata in diritto dei minori, il suo studio è stato il primo a dedicare un dipartimento ai casi di violenza all’interno della famiglia.

Ma la sua resta la voce più autentica dell’isola, radicata in vent’anni di bibliografia dal suo romanzo d’esordio La mennulara, caso letterario del 2002 fino a Era un bravo ragazzo, fresco di stampa per Mondadori.

La cultura della tavola

E la tavola è tra i personaggi principali dei racconti di Simonetta Agnello Hornby da Un filo d’olio al Pranzo di Mosè. Non a caso è stata proprio Simonetta a inaugurare gli Incontri al Museo – La Cultura della Tavola, organizzati in collaborazione con il Ristorante Famiglia Rana al Museo Poldi Pezzoli a sottolineare il legame con l’arte della tavola della collezione Oro Bianco. Tre secoli di porcellane Ginori, in mostra fino al 19 febbraio al museo milanese.

richard ginori
Alzata Richard Ginori dal servizio del Kedivè d’Egitto per l’inaugurazione del Canale di Suez (1872). 
Le serate di dialogo con personaggi invitati da Angela Frenda, direttore editoriale di Cook si concludono infatti con un menù a tema creato Giuseppe d’Aquino, chef stellato del Ristorante Famiglia Rana ispirati agli ospiti, i prossimi lo chef Davide Oldani e la food writer Skye McAlpine (8 e 19 febbraio).

Nel caso di Simonetta Agnello Hornby non poteva essere che un omaggio alla tavola palermitana. Anche a Londra, racconta infatti la scrittrice, ospita all’italiana. A casa. Perché per gli inglesi, di solito, ci si vede al club.

roastbeef
Pilastro della tradizione inglese, il roastbeef è meno semplice di quello che può sembrare.

Al club con Simonetta Agnello Hornby e Phileas Fogg

«Gli inviti di lavoro a Londra si fanno al club», rivela, «E così alla fine mi sono iscritta anch’io, appena aprirono alle donne: stata tra le prime iscritte del Reform club non so se lo conosce, è tra i più antichi di Londra appare anche in un romanzo di Jules Verne», è quello da cui Phileas Fogg parte per il suo Giro del mondo in 80 giorni, per capirsi.

«Mi piace perché è comodo, non solo per la sua storia e il suo prestigio. Certo, a suo favore il Reform Club ha anche il privilegio di avere accesso alla più grande libreria privata d’Inghilterra: grazie a un accordo con la London Library noi soci abbiamo accesso a tutto il loro catalogo ogni volume e possiamo tenerlo senza limiti di tempo».

richard ginori zuppiera
Zuppiera Richard Ginori con decoro a tralci (1750-55), conservata al Castello Sforzesco di Milano. 

Roastbeef & Trifle

Ad attrarla non sarà stata la cucina s’immagina. «D’inglese c’è ben poco», conferma. «Un tempo era diverso era una cucina ricca e aperta al mondo, grazie ai commerci via mare, almeno fino al 1500, poi arrivò quel puritano dell’ammiraglio Cromwell, da allora tutto cambiò», dice la scrittrice.

Certo, agli inglesi resta il roastbeef, colonna portante della tradizione. «E non così semplice come si può pensare, non è così semplice indovinarne la giusta cottura. Martin, il mio ex marito, lo faceva benissimo ed era il rito del pranzo della domenica».

Trifle
Trifle dolce tipico inglese farcito, a strati, con crema, panna e amare e frutti rossi.

Roastbeef a parte, c’è poco, qualche pudding e pie come si vede nel libro di Mrs Beeton’s Book of Household Management, tradotto con Saggi consigli domestici per la perfetta gentildonna, un besteller in epoca vittoriana, svela Agnello Hornby con alcuni dolci fantastici, come il Trifle una specie di lievitato come il panettone che si taglia a fette e si farcisce a strati con crema, panna montata e amarene, uso quelle fatte in casa un tempo da mia madre ora fa mia sorella Chiara».

Ma niente di paragonabile con i dolci della tradizione siciliana, come la cassata fatta con quella che in continente «vi ostinate a chiamare marzapane, alla tedesca, ma per noi siciliani è la pasta reale, rigorosamente fatta in casa è facile ma laboriosa ne facevo in quantità e la tenevo sempre una riserva in frigo avvolta nella pellicola, si conserva per mesi».

cassata
La cassata uno dei più noti dolci della cucina siciliana.

Cassata e cotognata

L’altra sua passione racconta è la cotognata, «una delle cose migliori al mondo, una gelatina di mele cotogne che esiste in tutto il mondo del mediterraneo. A Beirut ne ho assaggiata una ottima, ma non era fatta con le nostre tradizionali formine di terracotta, sa che non aveva lo stesso sapore?! La differenza naturalmente la fanno le mele, in famiglia si usavano solo quelle che arrivavano dalla campagna dello zio Peppino a Caltagirone migliori di quelle di Mosé».

L’amore per la cucina e le tradizioni è nato proprio qui a Mosé, nella tenuta nella campagna agrigentina, dove da cinque generazioni la famiglia materna trascorreva le vacanze estive e accoglieva gli ospiti.

«Chiunque risaliva la stradella che portava alla casa era ospitato, nutrito e intrattenuto». E di passaggio ce n’era molto perché «Facendo sradicare degli ulivi, papà portò alla luce una necropoli romana, ma si immaginava, è a pochi chilometri dalla Valle dei Templi, e la voce si sparse velocemente tra i turisti attirati nella tenuta già dalla torre normanna».

cotognata
La cotognata, gelatina di mele cotogne cui si dà forma con stampi di terracotta.

«Papà se li portava a casa tutti, non si capisce come, perché le lingue straniere le parlava poco, poi interveniva mamma con il suo perfetto francese e tedesco. E spesso finivano per invitarli a fermarsi a cena».

Da allora a oggi, poco è cambiato: «Il siciliano è accogliente e, agli ospiti si riserva sempre il meglio, il servizio buono e la tovaglia ricamata più bella, mamma e zia Teresa erano bravissime e appassionate, avevano l’abbonamento fisso a Rakam».

Servizio buono e tovaglia ricamata

Una regola che vale nelle case nobili come in quelle più povere, dove il massimo che si poteva offrire magari era della pasta fritta, «piatto povero che è una tradizione per tutti i siciliani, spesso si cala volutamente della pasta in più per poi averla a disposizione da ripassare in padella con molto olio e tanto formaggio, finché non si forma una perfetta crosticina, e la si rigira in un piatto da portata».

«Ma la vera ospitalità sta nel mettere tutti a proprio agio: la padrona di casa si regola nella velocità al più lento dei commensali per non lasciarlo mai finire per ultimo». Lo stesso vale per le pietanze. «La mia migliore amica è giainista: non mangia niente che dia la vita o germogli, quindi niente patate né cipolle, ma, per esempio, solo le foglie esterne dell’insalata. Ho imparato a cucinare anche per lei». 

 

gentleman editoraile aprile 24

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