Bolle a tutto pasto

di Cesare Pillon

Vino da brindisi per eccellenza, di rado con lo champagne si va oltre l’aperitivo. Ecco sei proposte per cambiare idea e lasciarlo in tavola dall’antipasto fino al dessert.

Champagne per tutte le occasioni

Lo Champagne è un vino con le bollicine, ma è dal 1680, quando fu creato (secondo la leggenda) dall’abate benedettino Dom Pierre Pérignon, che l’immaginazione collettiva, affascinata delle bollicine, ha concentrato la propria attenzione solo su di esse.

Ecco perché è diventato un vino celebrativo di cui non si può fare a meno per brindare a nascite e incontri, amicizie e fidanzamenti, lauree e matrimoni, promozioni e fusioni ma con cui, a tavola, raramente si va oltre l’aperitivo.

Ebbene, tocca prepararsi perché, senza rinunciare alla vocazione per il cin-cin, lo Champagne intende proporsi come vino da pasto, sfruttando un potenziale da sempre a sua disposizione.

Dom Pérignon Rosé 2008.

Lo Champagne è infatti straordinariamente versatile, capace di accoppiarsi felicemente a qualsiasi preparazione gastronomica grazie alle numerose tipologie in cui è prodotto.

Se è un Blanc de Blancs, per esempio, ed è quindi ricavato da uve a bacca bianca di Chardonnay, con il suo aroma delicato e floreale si sposa bene con le verdure, i pesci dal sapore tenue e le carni bianche, mentre se è un Blanc de Noirs e nasce da uve di Pinot Noir e di Pinot Meunier, la sua struttura aromatica più complessa e consistente entra in sintonia con primi piatti molto saporiti e con le carni rosse.

E lo stesso vale in parte per il Rosé, che tra i suoi componenti ha necessariamente il Pinot Noir.

Terroir Premier Cru di Nicolas Feuillatte .

Lo Champagne è l’unico, poi, che si possa bere anche con i dessert, tant’è che sono addirittura sette le sue gradazioni di dolcezza a seconda del contenuto di zuccheri: Pas Dosé, Extra Brut, Brut, Extra Dry, Sec, Demi-Sec e Doux.

Forse però tutte queste differenziazioni sono troppe: invece di molti Champagne, ciascuno adatto all’abbinamento con un certo tipo di piatto, non sarebbe meglio una cuvée sola adatta a un gran numero di abbinamenti?

A rispondere di sì a questa domanda è stata la Maison Nicolas Feuillatte, e l’ha fatto concretamente, perché una cuvée adatta ai più svariati abbinamenti l’ha creata davvero.

Si chiama Terroir Premier Cru e all’apparenza non ha niente di straordinario, anzi: è un normalissimo Champagne Brut Sans-Année nato da un equilibrato assemblaggio delle uve di Pinot Noir, Pinot Meunier e Chardonnay.

A segnalare le sue ambizioni è soltanto il fatto che le uve sono state raccolte in cinque zone classificate premier cru.

Ma è il risultato che non lascia indifferenti: sorprende la naturalezza con cui il Terroir Premier Cru sposa i sapori più diversi, della cucina di mare come di quella vegetariana, stupisce la sua capacità di enfatizzare i piatti di funghi e valorizzare quelli a base di uova, di non prevaricare i tenui aromi delle varietà più delicate di pesce e di armonizzarsi alla pari con quelli ben più pronunciati delle carni rosse, sia stufate in salsa che grigliate alla piastra.

E colpisce scoprire che anche la sua caratteristica apparentemente più banalizzante ha una motivazione precisa: è uno Champagne non millesimato affinché lo Chef de Cave Guillaume Roffiaen possa realizzarlo ogni anno con le stesse caratteristiche utilizzando nell’assemblaggio anche le riserve delle annate precedenti.

Il Terroir Premier Cru non sarà «una rivoluzione francese» come afferma la pubblicità ma ha indubbiamente il sapore della sfida, che la Feuillatte ha potuto raccogliere perché, essendo nata negli anni 70, è la più giovane delle grandi Maison.

Ruinart Brut Millesimato

Ma anche i marchi storici, che su questo terreno devono muoversi con maggior prudenza, non nascondono il loro interesse a riproporre lo Champagne come vino da pasto.

Lo lascia intuire perfino il più classico dei classici, il Dom Pérignon, che per il Vintage 2008, il millesimo attualmente in distribuzione, punta molto sulla versione Rosé.

Il Pinot Noir garantisce sempre un ventaglio di abbinamenti molto ampio, secondo lo Chef de Cave Vincent Chaperon «riluce in tutto il suo fulgido splendore e in ogni sua tonalità».

Anzi, essendo di una vendemmia eccezionale come il 2008, «sa giocare perfettamente con i codici… Fino alla provocazione e invita a scoprire territori inesplorati».

Belle Époque Rosé 2013 di Perrier-Jouët.

Anche il Belle Époque che la Perrier-Jouët mette quest’anno in primo piano è un Rosé, ma del 2013. È ottenuto per metà da uve bianche di Chardonnay, mentre sul fronte delle uve nere il Pinot Noir, al 45%, è accompagnato dal 5% di Pinot Meunier.

«È una cuvée affascinante, fine e delicata», la descrive Severine Frerson, Chef de Cave della Maison, «ma anche calda e avvolgente come la seta».

Pronta ad avvolgere, secondo lei, piatti impegnativi come il salmone o il tonno con salsa di mirtilli, il piccione o l’anatra rosolati in padella. Il più intrigante, fra questi Champagne eno-gastronomici, è però quello firmato Bollinger, che incuriosisce perché si chiama PN VZ 16.

Sembra un titolo misterioso e invece è una carta d’identità: descrive con gli acronimi una cuvée ricavata da uve di Pinot Noir (PN) coltivate nel territorio di Verzenay (VZ) e vendemmiate nel 2016 (16).

Fa parte di una collezione che la Bollinger si propone di arricchire ogni anno con una nuova cuvée in modo da esplorare le diverse caratteristiche espresse dal Pinot Noir nei vigneti che la Maison possiede anche in altri territori.

Questo di Verzenay si abbina all’antipasto con le capesante, al risotto alle lenticchie rosate, al secondo con un’animella accompagnata da castagne e al dessert con un formaggio vaccino della Marne, il Langres.

 

La Grande Dame 2012 di Veuve Clicquot.

Non ha invece bisogno di prendere iniziative particolari Veuve Clicquot per iscrivere tra gli Champagne da tutto pasto il suo prodotto di maggior prestigio: La Grande Dame 2012, attualmente commercializzata, è un blend dominato al 90% dal Pinot Noir.

A contribuire col 10% è lo Chardonnay: un piccolo apporto che determina però un sorprendente equilibrio, tant’è che a tavola La Grande Dame si trova perfettamente a suo agio sia coi ricci di mare che con le quaglie al forno.

Il Pinot Noir è il vitigno di riferimento della Maison perché Barbe Nicole Ponsardin, la Veuve Clicquot che le ha dato il nome, era convinta che siano le uve nere a dare i migliori vini bianchi.

Ma è proprio così? Il programma Food for Art, organizzato nel settembre scorso da Ruinart, ha dimostrato che non è sempre così.

Bollinger PN VZ 16.

Come ogni anno la più antica Maison de Champagne ha scelto un artista, il britannico David Shrigley, per rappresentare il mondo del vino al Miart, la fiera d’arte moderna e contemporanea di Milano.

Ma questa volta è andata oltre: ha invitato Paolo Griffa, giovane Executive Chef del Grand Hotel Royal e Golf di Courmayeur, a creare un menù ispirandosi per ogni piatto a un’opera di Shrigley e abbinandolo a una cuvée Ruinart.

Protagonista dell’evento era la nuova cuvée R de Ruinart Vintage 2011, felicemente sposata con il primo piatto, Bottoni di Patate.

Eccellenti l’una e l’altro, ma il maggior successo l’ha riscosso a sorpresa un antipasto, il Mosaico di Verdure dai sapori speziati e mediorientali ispirato all’opera Thousands of bottles of champagne! In a giant hole in the ground di David Shrigley.

Merito dell’abbinamento particolarmente felice con il Ruinart Blanc de Blancs. Che però è uno Chardonnay in purezza: di uve nere neanche l’ombra.

gentleman editoraile aprile 24

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