Il lato green dello champagne

di Magda Mutti
Benoît Gouez, chef de cave di Moët&Chandon.

Il clima è cambiato e la Champagne prende la misura. Le vendemmie anticipate sono diventate frequenti, il surriscaldamento globale ha toccato anche questa regione. Che ne sarà del vino più pregiato e più venduto al mondo e del suo complesso sistema di coltivazione e raccolta?

Bando ai timori, le bollicine francesi stanno benissimo, come ha dimostrato Moët&Chandon in occasione della presentazione, in prima mondiale, a Milano, di due Grand Vintage 2015 Blanc e Rosè e due Grand Vintage Collection, quattro luminosi champagne millesimati dal 2015 al 1999 abbinati a quattro piatti di giovanissimi chef vincitori del premio Tradizione Futura del Gambero Rosso.

A raccontarli, lo chef de cave Benoît Gouez: «Un’annata strepitosa con vendemmia anticipata, uve perfette grazie a una siccità senza precedenti da marzo ad agosto, e anche la definitiva consapevolezza in Francia e ovunque che se il clima si innalza non è più un fatto casuale ma un fenomeno da tenere in considerazione dato che l’aumento della temperatura dell’1,1% negli ultimi tre decenni nel Nord della Francia ha giovato alle bollicine» spiega.

Moët&Chandon Grand Vintage 2015.

Nel calice i due extra brut confermano: il blanc (pinot noir, il pinot meunier e chardonnay) ha un bouquet pieno con finale floreale, perlage finissimo, seducente e tocco sapido; migliora con gli anni. Il rosé (con una percentuale di pinot noir più alta del blanc) è brillante, il bouquet richiama bacche scure, è appetitoso al palato e fresco nel finale mentolato.

Lo champagne è green
Moët&Chandon Galerie Imperiale.

Per formulare un Grand Vintage le bacche a buccia rossa devono essere eccellenti, l’annata speciale, e i vini portare al naso uno spiccato fruttato. «Ogni Grand Vintage rappresenta la mia personale interpretazione di una specifica annata e come tale è unico», continua Gouetz, «Grand Vintage è l’occasione di scoprire, attraverso i miei occhi, l’originalità di una particolare vendemmia.

Come un fotografo che inquadra uno scatto, seleziono vini che comporranno l’assemblaggio. È come lavorare sui negativi fotografici, puoi vederne forme e contorni ma non puoi essere certo del risultato finché non avrai sviluppato». Ma il climate change incombe.

Gouez si dichiara ottimista: «L’enologo sa per esperienza che madre natura sfugge a ogni regolarità, noi dobbiamo provare e sperimentare per mantenere nel tempo il carattere individuale del nostro champagne, il suo equilibrio tra i vitigni, lo stile».

Lo champagne è green
Moët & Chandon i vigneti.

Moët&Chandon è il più grande proprietario viticolo della Champagne e in quanto tale sente la responsabilità di preservare e favorire la biodiversità regionale con pratiche sostenibili che oggi coinvolgono una comunità di più di 2mila viticoltori.

L’impegno è un programma di agroecologia chiamato Natura Nostra che ha un primo traguardo temporale nel 2027: prevede la conservazione di fauna e flora, l’eliminazione di erbicidi dalle tenute e la creazione di 100 km di corridoi ecologici, nuove aree boschive, l’implemento di arnie per il prezioso lavoro di impollinazione delle api. A dimostrazione che lo champagne è green.

Del resto, la maison non è nuova al rispetto ambientale: dal 2007 ha la certificazione ISO-14001 per ogni sito e dal 2014 la viticoltura è certificata sostenibile, premesse alla continuità dello stile armonioso che distingue i suoi vini, anche in prospettiva di un aumento della temperatura del 2%, oltre che decisivo contributo ai piani del Comité Champagne, il cui traguardo è ridurre le emissioni di Co2 del 75% entro il 2050.

Ad oggi sono già calati del 20% per singola bottiglia e con l’introduzione della bottiglia leggera, da 900 a 835 g, l’effetto su imballaggi e trasporti ha consentito un risparmio di emissioni pari a una flotta di 4mila veicoli. Nel percorso di sostenibilità l’area vinicola ricicla il 90% dei rifiuti, mentre la totalità dei sottoprodotti è valorizzata dall’industria, dalla cosmetica e farmaceutica, e dall’agroalimentare.

Lo champagne è green. Quasi tutto il legno di risulta è trinciato come humus per il terreno. Non di meno si esplorano scenari alternativi alla deriva termica.

In appositi vigneti si è sperimentato che la maggior distanza tra i ceppi rende la vite meno attaccabile dagli stress idrici e, in cantina, che la concentrazione zuccherina spinta dalla maturità precoce delle uve può essere facilmente riequilibrata da una minor aggiunta di zuccheri.

E poi c’è l’innovazione, con uve già candidate all’iscrizione nel registro francese dei vitigni e, in parallelo, il programma di ibridazione di pinot noir e meunier, gouais, chardonnay, arbanne e petit meslier con l’obiettivo di rendere le viti più resistenti.

gentleman editoraile aprile 24

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