Alan Roura: navigo ergo sum

di Sara Canali

Skipper, avventuriero, imprenditore  e sognatore. il giovane alan roura è pronto a prendere il largo per una nuova sfida

gentleman leaders protagonisti alan roura hublotC’è qualcosa di magnetico nello sguardo di Alan Roura. Forse sono i segni d’espressione di un viso alla soglia dei trent’anni che dalla vita ha già imparato tanto. O forse sono gli occhi di bambino, gli stessi che sognavano di solcare i mari aperti alla ricerca di avventura. Di sicuro, l’incontro con lo skipper svizzero, già protagonista di due edizioni della Vendée Globe, la regata a vela più estrema in assoluto, un vero e proprio giro del mondo di tre mesi in solitaria, senza scali e senza assistenza, non lascia indifferenti. Lo sa bene la moglie Aurélia, giornalista sportiva, oggi responsabile della comunicazione del team, che in quegli occhi si è imbattuta una decina d’anni fa, alla prima partecipazione di Alan a una Mini Transat.

gentleman leaders protagonisti hublotAl termine della gara, lui sulla barca, lei sul molo, ecco arrivare il colpo di fulmine. «Aveva qualcosa di diverso negli occhi che non gli avevo visto prima», dirà lei. E lo sa bene anche lo skipper Alex Thomson che, proprio a lui, ha venduto la sua barca Imoca, una delle più innovative della generazione 2020, per accompagnarlo nella nuova campagna per il Vendée Globe 2024. E se ne è accorto anche Ricardo Guadalupe, ceo di Hublot che, appena incontrato e conosciuto il navigatore, non ha avuto dubbi sul fornire il supporto della Maison orologeria svizzera per un progetto a lungo termine che lo accompagnerà fino alla fine di una delle gare più spettacolari al mondo. «Questo è il genere di sfide che amiamo noi di Hublot! Amiamo anche la sua mentalità», spiega Guadalupe. «Serve una buona dose di coraggio per dedicarsi a una gara del genere, per ritrovarsi da soli ad affrontare la natura e portare a termine la sfida nonostante le avarie.

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Big Bang Original Steel Ceramic 44 mm di Hublot. La Maison di orologi svizzera è, infatti, sponsor titolare dello skipper.

Questa determinazione è ciò che consente ai più grandi di entrare nella storia». Gentleman l’ha incontrato a Lorient, la Sailing Valley in Bretagna, dove vive con moglie e figlia e si allena per prepararsi a tutte le gare in calendario nelle tre stagioni future in vista del 2024, fra cui 4 transatlantiche, sempre a bordo della sua Imoca 60 Hublot, affiancato dall’Hublot sailing team.

Gentleman. Qual è stata la sua prima volta su una barca?
Alan Roura. Non ricordo esattamente la prima volta, ero troppo piccolo. Ma ricordo il mio primo viaggio da solo: avevo 16 anni ed era a Port-Noir, sulla riva sinistra del Lago Léman vicino a Ginevra.

G. Che bambino era?
A.R. Ero un sognatore, pieno di progetti molto concreti e finalizzati a un obiettivo. Prima volevo essere un cuoco, poi un falegname. Infine, uno skipper. Una scelta che ho maturato nel 1998, quando i miei genitori acquistarono una barca a vela di 12,50 metri, la Ludmila3. Quattro anni dopo siamo partiti da Port-Camargue per un giro del mondo durato 11 anni: ho passato la mia adolescenza tra l’Atlantico e il Pacifico. A 13 anni decido di avere una barca tutta mia e, con i soldi guadagnati lavorando con mio padre, la compro: un Mini 6.50, Gift, che ho poi ristrutturato per partecipare a numerose regate nei Caraibi.

G. Che cosa resta oggi di quel bambino?
A.R. Tutto, sono lo stesso: non ho smesso di sognare, ho solo un po’ di barba in più… Se allora il mio desiderio era quello di partecipare alla Vendée Globe, oggi è quello di vincerla.

«quando si ha un obiettivo, non bisogna mai mollare»

G. Ha sempre prediletto le competizioni in solitaria, come mai?
A.R. Forse perché non sono così convinto di riuscire a fare squadra: far parte di un equipaggio significa, infatti, condividere ogni decisione. E ogni sbaglio. In solitaria, invece, è tutto in mano a te. Preferisco assumermi tutte le responsabilità, nel bene e nel male.

G. È stato il più giovane (e lo è ancora oggi) partecipante alla Vendée Globe: che difficoltà ha incontrato, se le ha incontrate?
A.R. A 23 anni era difficile farsi prendere sul serio, sia dagli sponsor, sia dagli altri skipper che non mi reputavano all’altezza. Non riuscivo a togliermi di dosso il timbro di «giovane». La verità è che ho cominciato a navigare così presto che, a 23 anni, avevo maturato talmente tanta esperienza da superare quella di altri veterani. Il mio essere giovane era legato solamente a un fattore anagrafico. Quando ho tagliato il traguardo, però, le cose sono cambiate.

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G. Passare tre mesi in balia del mare e degli oceani, su una barca a vela e in solitaria, è qualcosa di provante a livello sia fisico, sia mentale. Come si allena?
A.R. Confesso che per le prime due volte non mi sono allenato molto: ero giovane, pieno di energie e con una barca non fisica come quella che porto ora. Uscivo tanto in mare e quello bastava. Oggi, invece, sto più attento: anche se non ho ancora 30 anni, capisco che non posso più fare affidamento solamente sulle mie energie fisiche, ma ho bisogno di un allenamento completo, che comprende sezioni di nuoto, bicicletta e sedute in palestra. A questo affianco test di manovre, velocità, orienteering. L’Imoca 60 Hublot mi dà tanto e richiede tanto: dobbiamo essere uno all’altezza dell’altra. Fondamentale anche l’equilibrio mentale: puoi essere il migliore marinaio al mondo, ma se non sei forte nella testa non puoi reggere una gara come la Vendée Globe. Per questo lavoro con una figura a metà strada tra uno psicologo sportivo e un mental coach, oltre dedicarmi a sedute di rilassamento e concentrazione.

G. Qual è l’aspetto più difficile da gestire?
A.R. Il fatto di sapere che ogni minuto potrebbe essere l’ultimo. Alcune cose le puoi controllare: ti abitui a dormire 4/5 ore al giorno, con sezioni di 20 minuti ogni 3 ore, e a mangiare cibo liofilizzato. Altre no: ci sono dei giorni che ti senti davvero presente, stai bene, poi succede che si rompe qualcosa della barca e a quel punto non puoi fare niente, non dipende da te.

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G. Che rapporto ha con il rischio e la solitudine durante la navigazione?
A.R. La solitudine la gestisco bene. Due o tre giorni prima di arrivare al traguardo, invece, comincia a salire una sorta di paura nei confronti delle persone. Non si è più abituati alla socialità, che diventa quasi stressante. Pur essendo una persona molto socievole, ho capito che ho bisogno di quei mesi all’anno di decompressione per uscire da un mondo che a volte mi fa più paura del mare.

G. E con la morte e il destino?
A.R. Sono spaventato come tutti, ma so che la possibilità che succeda qualcosa è alta. Per questo prima di ogni partenza, con famiglia e team, valutiamo ogni possibile scenario e prevediamo cosa potrebbe accadere nel caso non dovessi tornare. È inutile fare finta che andrà tutto bene per forza. Ovviamente sopravvivere e arrivare in fondo è l’obiettivo reale di tutti, nessuno escluso.

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G. Ha girato il pianeta in lungo e in largo. Come sta l’Oceano?
A.R. La situazione non è rassicurante. La gran parte dei ritiri durante la Vendée Globe avviene perché le barche urtano contro qualcosa: possono essere dei cetacei o degli oggetti che si trovano dove non dovrebbero essere. Ho visto cose impressionanti: da lavatrici galleggianti a grandi ammassi di plastica, di legno, reti da pesca… Per ogni oggetto che galleggia sulla superficie ce ne sono almeno altri 10 sotto il livello del mare. Noi velisti cerchiamo di fare del nostro meglio per rispettare il mare, che rappresenta la nostra casa e il nostro ambiente, ma sappiamo anche di far parte di un’industria super tecnica, dove riciclare è difficile. Le barche sono un qualcosa di difficile da smaltire, per fortuna si stanno facendo passi da gigante in questo senso e si sta lavorando al meglio per trovare soluzioni alternative.

gentleman editoraile aprile 24

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