Guido Migliozzi. L’energia sul green

di Sara canali

Migliore azzurro nel world ranking, Guido Migliozzi racconta perché il golf sia diventato uno sport competitivo, fisico e internazionale. Da giovani, insomma

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Guido Migliozzi sul tee della 8 durante il Masters di Augusta lo scorso aprile. (Photo by Gregory Shamus/Getty Images)

L’ironia del golfista Guido Migliozzi è tagliente, come lo è il suo sguardo. Occhi color ghiaccio, piazza una serie di risposte acute e brillanti con la stessa precisione con cui va alla ricerca delle buche sul campo. Il tutto, senza mai scomporsi né perdere l’espressione che indossa su un volto pulito da venticinquenne.

Ma ci mette subito in guardia: «In Veneto (è nato a Vicenza, ndr) mi definiscono una “bronsa cuerta”, una brace coperta. Se la scopri, sotto c’è il fuoco. Tendo a mimetizzare questo mio aspetto, anche se a volte non mi riesce, soprattutto quando gioco a golf. Per me non esistono vie di mezzo: o si dà tutto o meglio lasciare stare».

Migliore azzurro nel world ranking,  Guido Migliozzi si è messo in luce fin da giovanissimo conquistando una serie di risultati positivi che lo hanno portato lo scorso anno ad approdare a Tokyo per le Olimpiadi e, lo scorso aprile, all’Augusta National, il suo primo Masters, a fianco di Tiger Woods, Francesco Molinari e altri tra i 90 professionisti più forti al mondo.

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A Crans Montana, durante l’Omega European Masters.

A notare il miglior azzurro nel world ranking, la Maison di orologi Omega che l’ha scelto come brand ambassador. Eppure, se si digita il suo nome sulla rete, le informazioni personali non sono molte. «Essere al centro dell’attenzione mi imbarazza. Ai tempi della scuola, mi sedevo sempre in fondo».

Gentleman. Ma ai banchi in fondo non andavano i bulli?
Guido Migliozzi. Non per forza! Però, lo ripeto, sono molto meno mansueto di quanto possa sembrare. Per questo motivo ho iniziato a praticare.

G. Cioè?
G.M. Da piccolo ero la peste di casa e mia madre, che aveva difficoltà a gestire me e le mie tre sorelle (Anna Maria, Lisa e Sara), chiedeva a mio padre di portarmi da qualche parte, fuori di casa. Giocando lui a golf, è stato quasi naturale il mio ingresso al Club. Avevo 8 anni e ho avuto la fortuna di trovare dei ragazzini che, come me, condividevano questa mia passione.

G. Amore a prima vista, quindi?
G.M. Prima avevo praticato altri sport: calcio, tennis e sci, ma a un certo punto ho dovuto scegliere. Avevo 12 anni e il golf ha vinto su tutto. Mi divertivo e pensavo solo a quello. In più, mio padre diceva che avevo «il tocco». Non so dirvi se alla fine aveva ragione lui, ma so che oggi, a distanza di anni, e con alcuni traguardi raggiunti, mi diverto ancora.

G. Che cosa le piaceva così tanto del golf?
G.M. Mi piaceva, e mi piace tuttora, il fatto di non dover dipendere da nessuno: non c’è allenatore né squadra, ma solamente io contro me stesso, le mie paure, le mie ansie…

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Il migliore azzurro nel world ranking Guido Migliozzi all’AVIV Dubai Championships. (Photo by David Cannon/Getty Images).

G. Com’è per davvero il golf, al di là dei luoghi comuni?
G.M. L’unico modo per capire il golf è provarlo. Una gara dura in media 4 giorni, e noi professionisti viaggiamo praticamente tutto l’anno. Partenza il lunedì, il martedì e il mercoledì sono dedicati ai giri di prova. La giornata inizia alle 7 di mattino per la pratica e l’allenamento fisico, che dura 2 ore. A seguire, le 18 buche, per un ammontare di circa 5 ore in piedi. E siamo a quota 7 ore. Dopo la gara, si torna a ripetere i colpi che sono andati male durante la competizione, per ritrovare le sensazioni giuste. E questa è solo una giornata, seguita da almeno altre tre identiche. E una volta finito il torneo si fa la valigia e si riparte per andare a disputarne un altro. Insomma, non è uno sport per vecchi come molti lo definiscono!

G. Quale l’emozione più bella che le ha regalato il golf?
G.M. Questo sport mi ha permesso di viaggiare per tutto il mondo, conoscere diverse culture e lingue. Parlo italiano, spagnolo, inglese, un po’ di francese e, ovviamente, il veneto. A livello umano è un arricchimento culturale unico. I risultati sportivi, che possono anche non venire, alla fine rappresentano solo una piccola parte del tutto.

G. Dove vive?
G.M. Mi sono trasferito a Dubai due anni fa con la mia ragazza: durante l’inverno, il periodo in cui abbiamo l’off season, è il luogo perfetto per allenarsi. Ma appena posso, torno a casa.

G. Prima ha detto che quando finisce una gara, torna a provare i colpi che non hanno funzionato.
G.M. Noi golfisti siamo un po’ maniacali. C’è una costante ricerca della perfezione, ma bisogna stare attenti: può essere una cosa positiva, ma anche trasformarsi in un’ossessione, perché la perfezione non esiste… È incredibile come tutto si giochi nella frazione di un secondo, in un niente, ovvero quando il ferro colpisce la pallina. È talmente fine la differenza tra performare bene o male che fa paura.

G. Che rapporto ha con il tempo?
G.M. È fondamentale. Siamo sempre alla ricerca di tempo per noi stessi e ne passiamo tanto ad allenarci e a prepararci per una frazione di secondo che decide se sarà un buon colpo oppure no.

G. A proposito di tempo, che cosa indossa al polso?
G.M. Un Seamaster Aqua Terra Ultra Light di Omega, perfetto, dato il suo peso (solamente 55 grammi) per gli sportivi. Leggero ed ergonomico, lo indosso dal giorno in cui la Maison, di cui sono ambassador, me l’ha dato. Mi sembra di non avere niente al polso, ma se dovessi toglierlo, sentirei che mi mancherebbe qualcosa. Sono molto orgoglioso di far parte della famiglia di Omega, un brand storico che ammiro ed è bello sapere che hanno visto qualcosa in me: mi fa sentire importante. Per le scorse Olimpiadi, il cinturino è stato personalizzato con la bandiera italiana. Il team di Omega mi ha anche chiesto una frase che mi rappresentasse da scriverci sopra: ho scelto «tenticherivo» (attenti che arrivo, in veneto). Poi c’è un hashtag: #FTM, ma non posso dirvi il significato. Abbiamo deciso, per convezione, che sta per Fans Team Migliozzi…

G. Com’è stato partecipare a un’Olimpiade?
G.M. Un’esperienza pazzesca, ci siamo divertiti molto. Alloggiavamo nella stessa Università in cui si preparavamo i ragazzi dell’atletica. Abbiamo avuto la fortuna di conoscere Jacobs e Tortu e con loro abbiamo condiviso diversi momenti. Vederli vincere le medaglie d’oro è stata un’emozione bellissima, un momento stupendo per me e Renato Paratore, mio compagno di squadra e, soprattutto, grande amico.

gentleman editoraile aprile 24

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