Lo zen e l’arte della motocicletta

di Giada Barbarani

L’organizzazione dell’ingegnere. La voglia di sperimentare del cuoco. Il coraggio dei millennials. Questi gli ingredienti che hanno portato Guido Paternollo alla guida dei ristoranti del Park Hyatt di Milano

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@Max Montingelli / SGP

Dietro le lenti si nascondono due occhi curiosi e timidi al tempo stesso, tipici di un ragazzo di 31 anni affamato di nuove scoperte e conquiste. E il verbo scelto non è casuale. Guido Paternollo, infatti, è un giovane chef, considerato dai più la nuova promessa della cucina italiana, che si è avvicinato a questo mondo per caso, ma non a caso.

Studi al Politecnico di Milano, laurea in ingegneria, una scrivania in Ducati, ma una passione, quella per la cucina, che lo mette davanti a un bivio: continuare a fare quello per cui ha studiato o tentare la strada della ristorazione?

Gentleman l’ha incontrato al Pellico 3 Milano, il nuovo ristorante del Park Hyatt di Milano, l’albergo cinque stelle a due passi dal Duomo, di cui è executive chef.

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ph. Max Montingelli / SGP

Gentleman. Ha ereditato il posto di Andrea Aprea, due stelle Michelin. Non male per un ragazzo così giovane. Qual è stato il suo percorso?

Guido Paternollo. Mi sono laureato in ingegneria e avevo già un posto in Ducati, dove avevo fatto uno stage l’estate del primo anno di università. Ma la mia passione era legata alla cucina. Se inizialmente poteva essere un passatempo, ero sempre io quello che preparava pranzi e cene per gli amici, a 23 anni ho capito che volevo trasformarla in un lavoro. La vita è una sola e valeva la pena provare a fare qualcosa che mi piacesse.

G. In famiglia come l’hanno presa?

G.P. Lo scoglio più grande è stato dirlo ai miei nonni: per loro il cuoco non era un mestiere riconosciuto a livello sociale. Per fortuna, negli anni, il ruolo è stato rivalutato… Con i miei genitori, invece, c’è stato un grande dialogo e confronto: ci siamo dati sei mesi per vedere come sarebbe andata.

G. E visto dov’è ora, direi che è andata molto bene. Nel suo curriculum si legge: Bartolini, Ducasse e Alléno. Tre maestri stellati: che cos’hanno visto in lei?

G.P. Sicuramente la perseveranza e lo spirito di sacrificio. Il mio obiettivo era quello di entrare in una cucina stellata. Ho iniziato a mandare cv e, fortuna vuole, Enrico Bartolini, che in quel periodo si stava spostando dal Devero al Mudec, mi ha convocato per un colloquio. Credo che abbia visto in me la voglia di fare. E con una laurea in ingegneria lo spirito di sacrificio è nel Dna. Ed è stato poi lui a spingermi a provarci qui al Park Hyatt. Per come sono fatto, mai avrei immaginato di poter sostituire Aprea, ma Enrico mi ha fatto credere di poterci riuscire.

G. Da Alléno e Ducasse che cos’ha imparato?

G.P. La mia cucina ha influenze al 98% francesi, inutile negarlo, ve ne accorgereste subito mangiando da me: tutte le mie salse derivano da lì. Alléno, con cui ho lavorato due anni, è super esigente, un grande maestro, e lo dimostrano le due stelle appena conquistate a Dubai. Da Ducasse ho preso il rigore nella ricerca del prodotto. La stagionalità è alla base della mia cucina e avere un buon fornitore è fondamentale. Soprattutto in un periodo come questo dove, a causa del clima, non ci sono più regole. A giugno abbiamo i prodotti di agosto… Intorno a un ingrediente costruisco un piatto.

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@Max Montingelli / SGP

G. Qual è il suo preferito?

G.P. Mi piace tutto, ma se dovessi scegliere un comfort food, direi la pasta al pomodoro. E poi, il dolce latte e cereali del Pellico 3: nato come un esperimento con lo chef pasticcere Alessio Gallelli, è la madeleine di Proust. Sperimentare è fondamentale. E ringrazio la mia giovane brigata, tra cui gli chef Mario Musiello ed Andreas Karapaos, per questo.

G. Quanto c’è di Guido ingegnere dietro ai fornelli?

G.P. La forma mentis, l’organizzazione e saper usare bene Excel.

gentleman editoraile aprile 24

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