Alchimia d’un gentiluomo

di Claudio Costa

Cosmopolita dalle radici sicure, capace di muoversi con disinvoltura in ogni contesto, dall’eleganza non solo estetica, ma soprattutto etica. Ecco il ritratto d’un gentiluomo

A proposito del tempo, Sant’Agostino diceva di sapere benissimo che cos’è, ma di avere le idee confuse se gli chiedevano di definirlo con esattezza. Qualcosa del genere accade con il gentiluomo: nessuno dubita della sua esistenza, lo si incontra (non tanto spesso quanto si vorrebbe…) nella vita quotidiana, ma non è per nulla facile spiegare in che consista la sua essenza. Probabilmente è un buon esempio del fenomeno secondo cui un totale è molto più che la somma delle singole parti.

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Ritratto di giovane gentiluomo sullo sfondo della città di Firenze [1825-1830].

L’eleganza come primo indizio. Eleganza nel vestire, nel comportamento, nel linguaggio.

Philip Dormer Stanhope, meglio conosciuto come lord Chesterfield, nelle Lettere al figlio, sosteneva che «lo stile è la veste del pensiero e un pensiero ben vestito, come un uomo ben vestito, si presenta molto meglio». Nell’antichità si veniva considerati gentiluomini soltanto se di nobili natali.

Le grandi rivoluzioni borghesi hanno ribaltato per sempre quella convinzione-convenzione, senza contare che anche i capostipiti delle genealogie, il sangue blu se lo erano conquistato sul campo…

Ma eleganza, garbo e cortesia, proprio come per le antiche aristocrazie, continuano a essere un connotato anche per le nuove aristocrazie: quelle degli imprenditori, dei manager, dei professionisti, della buona società in generale.

Nei club londinesi si dice ironicamente che

«un gentleman è qualcuno che non offende mai nessuno… se non intenzionalmente».

Con l’ovvio corollario: un’incrollabile fedeltà alla parola data, alla correttezza, al fair play. Sì, l’assonanza fra gentiluomo e galantuomo non è del tutto casuale. Vista più da vicino, l’eleganza etico-estetica del gentiluomo in fondo non è altro che la ricerca incessante della qualità.

Tutti giurano e spergiurano di preferirla alla quantità, ma solo per il gentleman si tratta di un requisito non negoziabile. Soprattutto perché a lungo andare è un comportamento vantaggioso: selezionare anziché accumulare, strategia del collezionista d’arte.

E un gentiluomo è a suo modo un grande collezionista di tutto ciò che possa rendere la vita più gradevole, compresi i suoi simili (dalla qualità delle frequentazioni si giudica il frequentatore).

Arte di vivere definibile pure come raffinatezza a patto di evitare il banale equivoco di considerarla sinonimo di snobismo o estetismo decadente. Perché l’autentica raffinatezza è il punto d’arrivo d’un lungo cammino verso la semplicità. Raffinare nel senso di distillare, perfezionare, arrivare (o almeno avvicinarsi) alla quintessenza.

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Gentleman on the Grand Tour, attribuito a John Brown (1752–1787).

In anticipo rispetto alla globalizzazione, il gentiluomo è sempre stato un cosmopolita dalle radici sicure, perfetto esemplare glocal, capace di dividersi, ai tempi di lord Chesterfield, tra una dimora nella campagna del Kent e il Grand Tour nelle capitali europee o, come avviene oggi, di sentirsi a proprio agio tanto in una trattoria toscana quanto in grande ristorante di Pechino.

Quanto al patrimonio economico vale il principio di necessità-insufficienza.

Si potrà sempre parlare d’un gentiluomo decaduto perché rimasto al verde, ma il danaro da solo non basterà a fare d’un uomo un gentiluomo. Cartina di tornasole, questo benedetto denaro, per distinguere chi merita d’essere distinto.

Gli antichi romani oscillavano tra il «non olet» dell’imperatore Vespasiano e il «pecunia si scis uti ancilla si nescis domina» dei filosofi. Decisamente più elegante il secondo: il denaro se lo sai usare sarà il tuo servitore, se non lo sai usare sarà il tuo padrone.

Mezzo e non fine dunque, da rispettare senza idolatrare, da non nascondere ma neppure ostentare. Meglio se guadagnato con il proprio talento. Da custodire e gestire senza assurdi complessi se ereditato. E soprattutto da spendere al meglio.

Ecco: in estrema sintesi il gentleman contemporaneo potrebbe definirsi il risultato di una perenne dialettica fra il farsi largo nella vita (rispettando etica e etichetta) e il godersi la vita (praticando un edonismo intelligente e equilibrato).

Alchimia estremamente complessa, risultato apparentemente semplice. Il ritratto d’un gentiluomo proprio come sarebbe piaciuto a Lord Chesterfield.

gentleman editoraile aprile 24

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