Welcome to Miami!

di Magda Mutti

Non più solo spiagge, divertimento e locali alla moda. La città sta diventando un polo d’attrazione culturale. A partire dall’edizione invernale di Art Basel, i grattacieli firmati da archistar e la rinascita di quartieri, oggi hub creativi. Welcome to Miami!

gentleman Miami Beach panoramicaSolare come sempre, e sempre sfacciatamente vitale, Miami si è però spogliata del cliché tutto muscoli e tintarella, della folla di modelle e della corsa ai bitcoin. La sterzata è notevole, ora richiama menti brillanti e investitori con l’obbiettivo di diventare un polo d’attrazione culturale tra grandi architetture e art business.

Il sindaco Francis Suarez offre agevolazioni fiscali a nomadi digitali, manager del tech e start-up. Parlano chiaro l’orizzonte di gru dei nuovi grattacieli, i cantieri aperti e i condomini superlusso, come l’Icon Building e One Thousand Miami (sotto), realizzati da Zaha Hadid.

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Qui è estate tutto l’anno e tutto l’anno si parla di dollari, il mezzo per esperienze assolute. Il set fotografico può cominciare dal relax sull’atollo di Matheson Hammock Park o dalla mondanità di South Beach che, tra la 1ª e la 15ª, esibisce gli hotel color pastello ereditati dagli anni Venti, messi in fila con ristoranti e beach boutique che si riversano sul lido.

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Tra le sette miglia di sabbia, le spiagge sono come una mappa sociale: qui i palestrati, là gli arenili privati, il tutto scandito dalle lifeguard towers, le microarchitetture sgargianti progettate da William Lane e dall’artista pop Kenny Scharf. I migliori alberghi si estendono da South Beach a Surfside, Bal Harbour e Sunny Isles Beach. Altri svettano tra la baia di Downtown e Brickell. Tutti con penthouse e attici multilivello.

Quello che più incarna gli stili americani, dal Tropical Déco ai colorati anni 50, è il Pelican a Miami Beach, sulla Ocean Drive. Renzo Rosso lo acquistò negli anni 90, affascinato dalla magia dei contrasti della città: ultimamente, sotto la direzione del figlio Andrea, è stato ristrutturato. Di stile eclettico conta 32 camere devote al cinema e agli anni ruggenti di Miami fino ai 70, con arredamenti vintage originali.

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L’esclusiva Penthouse è un attico ispirato a James Bond, con terrazza affacciata sull’Oceano. La cucina è affidata allo chef italiano Wendy Cacciatori, dunque spaghetti alle vongole e cacio e pepe sono come devono essere. E così la colazione: avocado toast con prosciutto di Parma e biscotti Bucaneve per il caffé.

Il dehors dà il colpo d’occhio su Ocean Drive, un condensato di multinazionalità: c’è chi pattina in bikini ultra sottili e chi sfila su auto uscite dalla penna di Walt Disney, oppure esotiche e rare, come Bentley, Lambo, Ferrari e Rolls-Royce, noleggiabili da Lou La Vie. Quando il Pelican è in over-booking, un’altra insegna molto blasè ed eccentrica è Soho Beach House, ma bisogna essere soci. È in questo contorno che pulsa l’asset culturale.

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Molto ha fatto, e fa, Miami Art Week: inaugurata nel 2002 come Art Basel Miami quale edizione invernale della Fiera d’Arte Contemporanea di Basilea, è l’evento più atteso dell’anno, contenitore di capolavori milionari e frequentato da collezionisti di ogni dove, personaggi hollywoodiani e rock star. Per una settimana è the place to be: arte, design, feste, business e celebrities.

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In borsa, la crema solare che proprio qui è stata inventata, perché la spiaggia è a due passi da dove si svolge lo spettacolo principale, al Convention Center: dall’8 al 10 dicembre (preview 6 e 7), saranno presenti 277 gallerie internazionali, con le new entry da Islanda, Egitto, Filippine e Polonia. Distribuiti in sezioni tematiche, si snodano dipinti, disegni, design, NFT, sculture, video-arte, fotografie e stampe. Ci sono poi gallerie, musei privati e istituzioni culturali che prendono spunto dalla Fiera con mostre e progetti inediti.

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La Miami che annovera quartieri come Ocean Drive e l’Art Déco District, con la più alta concentrazione di architetture Déco del mondo, convive con quella anticonformista, come dimostra Wynwood (sopra), un vecchio nucleo popolare, brutto e industriale, riattato e diventato un hub creativo tra gallerie, bistrot, giardini jazz e murales che hanno ricolorato le strade.

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Mentre al Pérez Art Museum nei giardini c’è un’esposizione di sculture di cani e gatti giganti realizzati da artisti diversi e, accanto, il Phillip and Patricia Frost dedica le sale a scienza e tecnologia. Anche il Design District nasce in una zona di edifici dismessi e riqualificati dove ora impera il lusso, che fa da calamita. Il quartiere conta oltre 120 fagship store, ma la moda si è estesa anche ai caffè, ristoranti e locali glamorous, come il Baccarat Bar & Lounge o il Dior Cafè.

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Ai Bal Harbour Shops, nella Saks Fifth Avenue, vanno forte i Club Experience rivolti agli ospiti che, tra un acquisto e l’altro, beneficiano di trattamenti benessere e champagne nei privé. Shopping e delicatessen si mixano nel quartiere Bal Harbour: da Makoto, japan style; cene e jazz all’hotel e ristorante The Betsy Hotel (sopra).

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Miami ha saputo rimescolare le carte anche in fatto di gastronomia, fino a farne una sua contaminando Oriente e Occidente, Italia e Africa, Tex e Mex, Cuba e Haiti. I ristoranti sono spesso su terrazze con vista e hanno dehors per vedere ed essere visti. La summa del Caribe, aragosta al forno con mostarda di melone, si trova da Joe’s Stone Crab, tempio del crostaceo dal 1913.

Nell’area della scena artistica, il Rubbel Museum espone collezioni private e vanta il ristorante Leku, cucina basca con Carlos Garcia; mentre Sexy Fish, disegnato da Damien Hirst, propone piatti asiatici (sopra). Per un viaggio come quello raccontato, Gattinoni Travel propone voli con Ita Airways, escursioni e appuntamenti speciali.

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