Dal Beefbar di Milano all’Andreina di Loreto, passando per I due cippi di Saturnia ecco i migliori tre ristoranti dove la carne è protagonista

Da quando ha aperto, a febbraio, il Beefbar Milano nella Piazza del Quadrilatero, riconsegnata alla città grazie al restauro da parte dei Ferragamo e del loro nuovo cinque stelle Portrait del gruppo Lungarno Collection, ha visto un disciplinato via vai di persone in pellegrinaggio in quella che era la cappella del Seminario Arcivescovile e che oggi è un tempio gourmet per onnivori ortodossi.
Da allora la categoria di ristoranti specializzati in carne ha assunto un’altra accezione. E ha fatto capire meglio anche agli habitué del locale stagionale di Porto Cervo, perché il fondatore Roberto Giraudi non vuol sentire parlare di steak-house per la ventina di ristoranti della sua catena sparsi in giro per il mondo, da Londra a Parigi, da Monte-Carlo a Dubai.

Beefbar Milano: catena internazionale, cuore italiano
Da oltre 60 anni i Giraudi, origini genovesi e radici monegasche, importano i migliori tagli di carne nel mondo. Nel 2005 ha avuto l’idea di estendere il business alla ristorazione con una chiave originale: una carta agile fatta di piatti che richiamano lo street food internazionale e altissima qualità della materia prima.
Gli antipasti sono da provare tutti e pensati per essere condivisi, uno su tutti il Croque Sando, sandwich di prosciutto di manzo affumicato e formaggio fuso su panettone salato che è diventato un trend topic di Instagram. Un must il reel in cui le sue quattro parti sono disposte in geometrica perfezione e innaffiate con la salsa Beefbar al burro, erbe e tartufo versata dall’immancabile mini bricco, ormai non c’è stellato che non l’abbia.

I main course si richiamano alle tradizioni locali di ciascun paese e qui, infatti, la carta abbonda di pasta, dalla Carbonara di Kobe beef alle Pappardelle di ragu alla bolognese di wagyu e vitello con Parmigiano 100 mesi, fino al piatto meneghino per eccellenza il Risotto nikkei con ossobuco di vitello brasato. Anche le stoviglie firmate Bernardaud sono personalizzate, due per locale a Milano il Duomo e una borsetta Ferragamo in onore dei padroni di casa, mentre a Monaco c’è un omaggio alla corona dei Ranieri e al Gran Premio.

La vera protagonista però è la sezione “alla griglia” con scelta tra filetto mignon, Black Angus e naturalmente Wagyu, il gruppo Giraudi è il primo importatore di carne bovina giapponese certificata di Kobe in Europa (sono anche fornitori di Nusret, il signore del sale, ossia lo chef del Salt Bae di Mikonos). Tutti i tagli sono esposti in teche refrigerate quasi fossero quadri contemporanei, perché sarà un caso, ma meno carne si mangia e più rispetto si ha per la materia prima.
World’s 101 Best Steak Restaurants
I frigoriferi per la frollatura della carne in bella vista sono un must, lo conferma la gallery dei World’s 101 Best Steak Restaurants, italiani in lista compresi. A cominciare dalla Chianina in bella vista dei Due cippi di Saturnia entrati diretti al 7° posto, continuando con Trattoria dall’oste (24) di Firenze, new entry La Braseria fuori Bergamo (42), altro fiorentino Regina Bistecca (45), il milanese Asina Luna (66), e l’altra new entry Bifrò (78) di Torino.

I due cippi di Saturnia
Dietro alla matricola dalla migliore performance I due cippi, c’è lo storico ristorante Michele, aperto dal padre nel 1976, quando è mancato, quarant’anni dopo loro, i figli Alessandro, in sala, e Lorenzo, alla griglia, hanno raccolto il testimone e trasformato il locale rimanendo fedeli alle radici carnivore: «Della cucina di tradizione è rimasto poco», racconta Lorenzo Aniello, «acqua cotta e tortelli sono spariti per lasciare spazio alla brace, ma già all’epoca papà cuoceva al camino».

In cucina Lorenzo è finito per un caso, anzi per un incidente alla caviglia: «Prima ero in sala anch’io ma per sei mesi son stato fuori combattimento e così son finito dietro ai fornelli», racconta, «lì si fan giusto tre passi, dal bancone alla griglia». Alla brace fa di tutto, non solo fiorentina ma piccione, animelle, verdure e anguilla come il suo punto di riferimento Errico Recanati, chef e patron dell’Andreina di Loreto (Ancona), stellato Michelin dal 2013 e premiato con le tre forchette dal Gambero Rosso.
L’Andreina di Loreto
Aperto nel 1959 dalla nonna, il ristorante L’Andreina è sempre stato un matriarcato, passato di madre in figlia come le grandi cucine di famiglia. Una quindicina d’anni fa le redini sono poi passate a lui, Errico Recanati, considerato la risposta italiana a Victor Arguinzoniz, maestro della brace stellata dei Paesi Baschi.

«Sono stato sette volte da Da Extebarri, il suo ristorante», racconta Recanati, «ed è un’esperienza». E lo è anche vedere lui all’opera durante la cena allestita a Milano per il lancio della collaborazione con i Pionieri del gusto del whisky Laphroaig con le sue faraone cotte da lontano circondate da asparagi e lattughe appese a testa in giù sulle griglie fumanti.
La cottura indiretta, tecnica signature di Errico Recanati, permette alla carne di assorbire tutti i profumi dei legni e della piante aromatiche, ora dopo ora la si avvicina al fuoco e si finisce con la cottura diretta sulla brace.
Alla griglia Errico Recanati è arrivato per vie traverse passando dalla pasticceria, che mancava al ristorante. Dalle glasse alla griglia il giro di fumo non è breve e oggi non tornerebbe più indietro, ma ammette la formazione da pasticcere gli è rimasta «nella precisione e nel gusto per l’estetica di piatti colorati, il rispetto per l’ingrediente, quello che in pasticceria si chiama «la pesata», ricorda Recanati. «La precisione, quel controllo maniacale di ogni dettaglio, è essenziale per la brace. A lavorare con i forni, lo possono fare tutti, ma col carbone è tutt’altra cosa. Il carbone va domato».

ll carbone è un ingrediente a sé, spiega Recanati svelando che loro all’Andreina hanno la stessa fornitrice dai tempi della nonna: «Io la chiamo la maga, perché solo lei sa che legni usa ogni volta. Solo due tipi ci sono sempre, Carpano e Pioppo, il resto varia a seconda di quello che trova nella macchia, può essere ulivo, castagno, una scelta che segue il ritmo della natura, ma è sempre una carbonella piccola e dai profumi intensi, incredibili».
Lo stesso vale per la carta dell’Andreina dove si può trovare di tutto faraone e pernici, agnello e wagyu rigorosamente italiana, animelle e frattaglie, ma anche baccala e scampi di Civitanova e San Benedetto del Tronto e soprattutto verdure (sì perché il maestro della brace ha anche una carta tutta Veg). «Tutti i giorni non so quello che faccio, ma so quello che voglio. Penso sempre a come fare meglio quello che facciamo».